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lunedì 6 novembre 2017

COP 23. Una riflessione dell'ecologo Max Strata

Mentre è passata sostanzialmente inosservata la Conferenza mondiale sul clima delle
Nazioni Unite tenutasi nel 2016 , dal 6 al 18 novembre si terrà a Bonn in Germania la
Cop 23 (cioè la 23esima Conferenza delle parti) che si pone come obiettivo quello di
rendere operativi gli impegni sulla riduzione delle emissioni climalteranti presi nella
tanto celebrata Cop 21 svoltasi a Parigi nel 2015.
Il punto è sempre quello, impedire che entro la fine del secolo l'aumento della
temperatura media globale superi i 2 gradi centigradi rispetto al periodo preindustriale (meglio se 1,5).
Dopo l'uscita degli Usa dal gruppo dei Paesi più importanti per la realizzazione di
questo obiettivo, la Cina (che si propone sempre più come capofila) l'India, e l'Europa
"sembrano" spingere affinché questa volta l'accordo diventi realmente
operativo.
Scrivo "sembrano" perché per la stessa struttura e per le modalità organizzative
dell'accordo (che di fatto non è vincolante), la triste realtà è che tranne alcuni singoli
Paesi che si sono messi da tempo sulla strada di un serio contenimento delle
emissioni legiferando in materia e facendo rispettare le normative approvate, tutti gli
altri appaiono giocare un ruolo politico e strategico più che lavorare concretamente
per un vero cambiamento di rotta.
L'Italia, eterno fanalino di coda anche in questa partita decisiva per le sorti degli
ecosistemi, dell'umanità e delle altre specie viventi, arriva all'incontro senza neppure
avere delineato con chiarezza gli interventi da realizzare nei prossimi anni ma
favorendo, per dirne una, la combustione di gas metano nella produzione di energia
elettrica piuttosto che sostenere le rinnovabili e disincentivare l'uso di tutti i
combustibili fossili.
Dunque, nonostante l'enorme partita in gioco, ci troviamo nuovamente di fronte ad un
"gioco delle parti" che rischia di diventare drammatico in considerazione del fatto che
il riscaldamento globale e il conseguente caos climatico stanno evolvendo con un
ritmo ben più rapido di quanto era stato previsto anche solo due anni fa.
La percentuale di 403 ppm (parti per milione) di CO2 attualmente presenti in
atmosfera (400 ppm nel 2015) e l'innalzamento della temperatura che sta marciando
pericolosamente verso la prospettiva dei 3 gradi in più, indicano chiaramente questa
impennata .
Del resto, decarbonizzare l'economia mondiale significherebbe non solo mettere fuori
gioco le grandi aziende multinazionali pubbliche e private del settore, ma riscrivere
completamente il tipo di economia (e di società) della produzione e del consumo che
ci ha trascinato in questa condizione.
Se consideriamo quanto la classe politica internazionale sia legata a doppio filo agli
interessi economici dei grandi gruppi che orientano i mercati mondiali,
razionalmente, c'è ben poco da sperare.
Ecco perché, a mio avviso, nonostante tutta la gravità della situazione, anche questa
volta assisteremo a un incontro non decisivo e alla fine ogni Paese si muoverà per
proprio conto in un ordine sparso assolutamente insufficiente rispetto all'unità di
impegni di cui invece avremmo bisogno.
Questo pericolosissimo stallo mi convince ancora di più del fatto che solo le
comunità locali possono fare la differenza, organizzandosi in modo resiliente,
modificando la propria economia e non aspettando le decisioni dei governi e delle
Conferenze Internazionali, che nella loro inettitudine, semmai possono solo
beneficiare dei progetti su piccola scala e delle iniziative promosse dai cittadini.
Teniamo presente che non si può tornare indietro e che gli impatti negativi a tutti i
livelli che il caos climatico sta determinando e determinerà con maggiore intensità
nei prossimi anni, saranno una costante planetaria di lungo termine (secoli)
specialmente se, ed è esattamente il percorso che stiamo seguendo, la temperatura
media schizzerà ben più in alto di quanto indicato dagli accordi simbolici fin quei
sottoscritti.
In conclusione, dobbiamo prepararci al peggio senza per questo rinunciare a fare la
nostra parte, come singoli, come gruppi e come società.
Ci sono molti ostacoli da affrontare, esterni ed interni , la non corretta informazione e
la voglia di rimanere attaccati alle nostre abitudini per fare un esempio, e se non ci
decidiamo a rimuoverli in fretta, letteralmente sbatteremo violentemente contro un
muro.
Ma come sempre, cambiare si può e per cambiare è necessario passare dal nostro
attuale stato di inconsapevolezza a quello di una responsabilità attiva.
Questo non è il caso in cui si può delegare qualcuno a risolvere un problema, o ci
occupiamo in prima persona del nostro futuro e di quello delle giovani generazioni, o
il peggio non avrà fine.

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